Convegno sul progetto che vede uniti CRA, Università della Tuscia e Consorzio di Tutela della Denominazione Frascati per migliorare, con tecniche innovative di appassimento, l’unico storico vino dolce dei Castelli Romani

Con 1000 ettolitri di produzione, ovvero poco più dell’1% del totale della DOCG Frascati (annualmente tra gli 80 e i 90 mila ettolitri), il Cannellino non è nelle teorie di mercato un vino sul quale riporre grande attenzione. Ma per Frascati e i Castelli romani tutti scegliere strade originali o non convenzionali potrebbe essere l’unica opzione rimasta per un rilancio dei propri vini, sommersi da decenni di anonimato dopo una storia di successi e apprezzamenti da tutto il mondo.

Sul Cannellino è incentrato il progetto “We Can: DOCG Cannellino di Frascati – Innovazione nel processo produttivo mediante innovative tecniche di post raccolta e appassimento” realizzato con i fondi del PSR Lazio 2007-2013, che vede coinvolti l’Unità di ricerca per le produzioni enologiche dell’Italia centrale del CRA (Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura) di Velletri in collaborazione con il DIBAF (Dipartimento per l’Innovazione dei Sistemi Biologici, Agroalimentari e Forestali) dell’Università della Tuscia di Viterbo, il Consorzio per la Tutela della Denominazione Frascati e ovviamente la Comunità Montana dei Castelli Romani e Prenestini.

I risultati del progetto, e i suoi possibili sviluppi futuri, sono stati al centro del workshop “Dulcis in fundo…il Cannellino!”, tenutosi il 17 marzo nell’azienda Felice Gasperini di Monteporzio Catone. Il confronto, a cui hanno preso parte tutte le istituzioni coinvolte tranne – purtroppo – la Regione, ha visto i ricercatori spronare i produttori presenti con dati analitici e di scenario, mettendo all’indice in particolare la disomogeneità dei prodotti e la mancanza di un’identità specifica del Cannellino.

Il Disciplinare della DOCG ha sicuramente le maglie un po’ larghe – ha detto nel suo intervento Paolo Pietromarchi del CRA-Enc di Velletri – ma questa può essere una possibilità per il territorio. Va ripensato infatti il prodotto Cannellino con un obiettivo enologico preciso, che ci permetta di arrivare ad un vino probabilmente più dolce ma anche con componenti aromatiche più interessanti. Bisogna fare sistema per arrivare a un prodotto con un rinnovato appeal commerciale. Chiediamoci come dovrebbe essere a livello sensoriale il cannellino del futuro a livello di intensità colorante, complessità e intensità olfattiva, pienezza gustativa ed equilibrio. Siamo in un territorio baciato dalla fortuna, qui attacca naturalmente la muffa nobile – ha concluso Pietromarchi – ma ora possiamo controllare questo e altri parametri che una volta erano a gestione empirica e non facilmente ripetibili“.

L’importanza del territorio laziale è stata sottolineata anche da Elisabetta Angiuli, vicepresidente regionale dell’Associazione Enologi intervenuta in rappresentanza del presidente Cotarella.

La necessità di arrivare a un protocollo univoco di produzione era già stata citata da Simonetta Moretti, sempre del CRA-Enc, che aveva parlato ci una “confusione data dalla variabilità” quando si parla di Cannellino, con titoli alcolometrici che oscillano tra gli 11 e i quasi 16 gradi, residui zuccherini compresi tra i 35 e i 73 g/l per non parlare del piano organolettico, ugualmente variabile da prodotto a prodotto.

Il nostro obiettivo – ha concluso la Moretti – è la messa a punto di un piano operativo con corsi di addestramento e attività di tutoraggio. Un supporto tecnico per le aziende con strumenti innovativi, per la valorizzazione delle produzioni aziendali e importanti innovazione come la riduzione della presenza di solfiti grazie all’utilizzo di ossigeno attivo“.

Il professor Fabio Mencarelli dell’Università della Tuscia ha sottolineato come diversi casi di successo nell’enologia nazionale siano dovuti proprio a un miglioramento e a una forte innovazione nelle tecniche di appassimento. “Va bene il ruolo della politica – ha detto Mencarelli – ma anche la sensibilità del mondo produttivo deve essere più orientata alla ricerca e alla sperimentazione. Le nostre strutture sono a disposizione del territorio ma si tratta di un percorso che richiede investimenti“.

Per il Cannellino parliamo di una Menzione tradizionale – ha specificato il coordinatore del progetto Fulvio Comandini -, un prodotto tipico quindi ma ma dobbiamo metterci d’accordo sul disciplinare. Ad oggi non è un passito e non è una vendemmia tardiva, teoricamente è un vino da vendemmia tardiva con parziale appassimento delle uve in pianta, però dobbiamo metterci nei panni del consumatore che deve poter riconoscere il prodotto quando lo cerca e questo deve sapersi distinguere in un mercato che chiede personalità nette nell’ampio contenitore dei vini da dessert“.

Concordi sulle potenzialità di questo vino i rappresentanti delle istituzioni, come il sindaco di Monteporzio Luciano Gori e il presidente della Comunità Montana Giuseppe De Righi, che si sono dichiarati a disposizione per supportare questo cammino.

Siamo sicuri – ha detto da parte sua il presidente del Consorzio del Frascati Mauro De Angelis – di essere nelle condizioni giuste per cominciare una nuova avventura, che è la prosecuzione di una storia molto lunga. Il Consorzio Frascatiora è quindi avremo una possibilità in più per la promozione del territorio“. Promozione che De Angelis, stimolato da interventi degli ospiti presenti, ha assicurato passerà anche da un’attenzione specifica sul Cannellino.

Il convegno si è concluso con una degustazione dimostrativa di quattro Cannellini in commercio e una malvasia del Lazio appassita con le innovative tecniche in studio al CRA-Enc di Velletri. Confermata da una parte la variabilità dei prodotti definiti “Cannellino” e, dall’altra, le enormi potenzialità sviluppate in anni di ricerche presso la sede sperimentale di Velletri, scelta ormai per progetti di studio sugli appassimenti da molte realtà di tutta Italia viste le competenze acquisite. Che sarebbe un peccato non sfruttare sul territorio laziale.

Fabio Ciarla