Carissime lettrici e cari lettori, proviamo ad intordurre un nostro modo di fare le degustazioni indicando una nostro punteggio che andrà da una C a 5 C. Vino non eccellente con una C a vino eccellente con 5 C. Buona lettura!
Nel 1996 Franco Lenzini grande appassionato di vino e amante della bella campagna lucchese, decide di dare corpo al suo sogno più grande, quello di vivere a contatto con la natura e realizzare con il suo impegno il “suo vino”, così nasce “La Vigna di Gragnano”.
La storia di questo angolo di paradiso affonda le radici nel lontano XVI secolo, quando fu di proprietà della famosa famiglia Arnolfini (quella ritratta da Jan Van Eyck nel celeberrimo dipinto conservato alla National Gallery di Londra), che l’aveva acquistata proprio per la fertilità del terreno. Poi passò alla famiglia Marchi, che continuò a coltivarla fino all’arrivo di Lenzini
La prima annata in commercio è il “Poggio ai Paoli” 1998, la Cru storica, un uvaggio bordolese in territorio lucchese, la prima dimostrazione di successo. Un vino con un’espressione territoriale forte che da una nuova chiave di lettura e uno spiccato carattere ad un uvaggio coltivato anche in altre zone, che qui diventa fortemente riconoscibile.
Nel 2006 la nipote di Franco, Benedetta Tronci, insieme al marito Michele Guarino, decide di occuparsi dell’azienda che diverrà “Tenuta Lenzini”, così denominata proprio per ricordare il capostipite della famiglia.
«Fare vino è una scelta di vita – spiegano -. E’ un pensiero che ti assorbe dalla mattina alla sera. Nel tempo, con l’esperienza e l’osservazione abbiamo capito cosa volevamo e soprattutto, cosa non volevamo. Abbiamo deciso di stravolgere tutto assumendoci in pieno, con consapevolezza la responsabilità della nostra scelta; che è poi, una scelta di vita».
Con grande entusiasmo e passione Benedetta e Michele si sono impegnati nel risanamento e il reimpianto di alcuni vigneti, perseguendo la qualità. Molto sensibili alla filosofia steineriana, decidono di declinare a modo loro la vigna.
«Inizia così – spiegano Benedetta e Michele – una nuova percezione del sistema agricolo e una nuova consapevolezza sul significato di fare vino. In questo contesto personale nasce “Tenuta Lenzini” e l’idea che il vino deve essere pura espressione di un territorio, delle persone che lo lavorano e lo abitano; passione e verità; puro incontro tra uomo e natura, una comunione non uno stravolgimento».
«Il vino non deve essere il puro esercizio di stile di un enologo, deve essere la visione di un territorio, la proiezione delle persone che ci lavorano, gli stati d’animo delle stagioni che lo hanno formato– spiega Michele Guarino- e deve emozionare attraverso la sua espressione, è per questo, che ci piace definire i nostri vini: “vini emozionali”».
Nella Tenuta Lenzini si seguono le logiche della natura, in accordo con il percorso biodinamico; la vigna innanzitutto deve essere bella, un organismo vitale.
«Si parte dalla vigna. Il vino è solo la sua diretta conseguenza, la trasformazione naturale dell’uva che si fa vino». Continua il Dott. Guarino.
Il terreno viene lavorato in autunno, si opera un inerbimento intensivo con il trifoglio, si seminano varietà come luppolo, favino, veccia, orzo da sfalciare in primavera, si utilizzano preparati biodinamici come 500 e 501, riducendo al minimo indispensabile rame e zolfo e si asseconda la pianta a sviluppare il suo apparato radicale a fittone, cioè più in profondità.
La pianta che si nutre in un terreno naturale non concimato, né irrigato artificialmente, si abitua a trovare nella profondità le sostanze nutritizie a lei necessarie, compresa l’acqua. Questa tendenza purtroppo si perde quando la coltivazione non è di tipo naturale. Le piante che si nutrono artificilmente perdono la loro biodiversità e inoltre perdono la loro istintiva capacità di approvvigionarsi di acqua e conseguentemente sono in balia dei periodi siccitosi.
Secondo queste logiche si coltivano 5,500 ceppi ettaro, per 40 quintali di uva di:
Merlot, Cabernet Sauvignon, Alicante Bouchet, Syrah per quanto riguarda le uve rosse e Vermentino e Sauvignon Blanc come uve bianche.
«La scelta dei vitigni è stata dettata dalla conoscenza approfondita del terreno sul quale ogni giorno camminiamo, in prevalenza argilloso sabbioso.» Spiega ancora il Guarino.
La raccolta e la vinificazione delle uve si effettuano separatamente per ogni singolo uvaggio.
L’uso di solforosa è limitato, abitualmente si arriva in bottiglia con 20mg/l di solforosa libera e 40 mg/l di totale.
L’uso del legno è sempre bilanciato ed in equilibrio per non sovrastare in nessun modo l’aroma del vino.
Il vino che si ottiene è un vino con una grande intensità aromatica, un’estrema piacevolezza ed una grande energia vitale.
Il merlot 2008 ha un significato particolare. Il primo anno di produzione della giovane coppia che si cimentò con un vitigno molo lucchese storicamente. A distanza di 6 anni ci troviamo ad un vino che ha mantenuto forma e spessore. Una retrospettiva da vivere. (r.g.)