Amici vegani e animalisti state tranquilli: non parlerò di agnello. Diciamo che lo sostituiremo con l’agnotofu vegetale, una sintesi di tofu trascendente destrutturato dicotomizzato messo in forno con patate metafisiche al profumo di rosmarino. Il risultato è più o meno lo stesso.

Ma del Pauillac sì, ne parlerò e con tanto, tanto entusiasmo.

Château Lynch-Bages per la famosa classificazione del 1855 è “soltanto” un quinto cru. Ma oggi vale quanto un deuxième cru e forse qualcosa di più ed ha un prezzo tutto sommato accessibile, ovvero tra i 120 e 150 euro.

Siamo molto vicini al piccolo borgo di Pauillac affacciato sulla Gironda: i vigneti giacciono a pochi chilometri dal fiume, su di un’altura chiamata proprio il “plateau di Bages”, che dà la seconda parte del nome allo château, mentre la prima parte deriva da Thomas Lynch, figlio di un immigrato irlandese che lo gestì per 75 anni a cavallo tra il XVII e il XVIII secolo.

Dal 1937 la proprietà è in mano alla famiglia Cazes. Jean-Michel Cazes, gestore anche di AXA-Millésimes, è al comando dell’azienda dal 1973. Nel 1976 ha nominato direttore il brillante Daniel Llose mentre ora sta gradualmente  passando la mano alla figlia Sylvie Cazes.

I vigneti sono circondati da nomi eccellenti: Mouton-Rotschild e Lafite-Rotschild sono a poca distanza a nord, Latour, Pichon Comtesse e Pichon Baron a pochi chilometri a sud.

Cazes ha dato ai suoi vini uno stile personale che è risultato in grado di soddisfare tutti: i puristi che prediligono uno stile slanciato ed elegante ed i “parkerizzati” che preferiscono vini più concentrati. In effetti il vino di Lynch-Bages è robusto, deriva da uve perfettamente mature, ha un corpo e una tessitura rimarchevoli, ma rimane sempre entro i limiti di una straordinaria eleganza e raffinatezza. I vini sono godibili e diretti, nel pieno rispetto del più puro stile Pauillac: grande classe e carattere cristallino, frutto di una terra ricca e di una grossa proporzione di Cabernet Sauvignon.

Per l’annata 1990 abbiamo un 73% di Cabernet Sauvignon, un 15% di Merlot, un 10% di Cabernet Franc e un 2% di Petit Verdot. Terzo di un trio di annate eccezionali, il ’90 è considerato di grande tenuta. Luglio e agosto furono mesi tra i più secchi dal 1961 e tra i più caldi di sempre, ma le piogge di fine agosto ed il mese di settembre piuttosto fresco riportarono la maturazione in condizioni ottimali.

La vinificazione avviene in acciaio, poi il vino passa immediatamente in barriques per il 60% nuove dove soggiorna per 18-20 mesi. Prima dell’imbottigliamento è chiarificato con bianco d’uovo e leggermente filtrato.

Il colore è ancora straordinariamente rubino vivo e solo sul bordo si percepisce un inizio di tonalità granata. Il bouquet è soave e molto ampio: all’inizio ha sentori di legno di cedro, di frutti a bacca nera, di ribes, poi con la permeneza nel bicchiere si apre in maniera impressionante. Terra bagnata, muschio, ma soprattutto tabacco ed erbe aromatiche.

In bocca ha un ingresso levigato e suadente, ha struttura meno concentrata del grande 1989, ma è comunque carnoso e pieno. Il tannino è dolce e vellutato, la trama è ben sostenuta da una corretta acidità che lo rende avvincente e sensuale. I richiami di frutto intersecati con spezie fini, tabacco e note terrose sono estremamente intriganti e tengono attivo  il palato con un finale molto lungo. Il bicchiere invita al riassaggio e qui sta l’unico difetto di questo vino: la fine rapida della bottiglia.

L’incontro con l’agnello al  forno, pardon con  l’agnotofu vegetale, è un vero matrimonio d’amore indissolubile.

Paolo Valdastri