E’ morto Giacomo Tachis. Se ne è andato chi ha concorso (con altri) a far attingere il vino italiano a dignità, eleganza, maestria, mondiale rinomanza

Tachis non c’è più, e uno con la sua lungimiranza e la sua visione d’insieme forse deve ancora nascere. Il re, anche di umiltà, è morto.

Subito sul web sono fioriti panegirici e rievocazioni di ogni sorta e livello culturale. Dai classici “coccodrilli” pre-confezionati dalle redazioni in attesa della dipartita di un personaggio di tale livello; ai ricordi malinconici di chi ha avuto l’opportunità di conoscere Tachis personalmente, che ne sottolineano i misconosciuti aspetti della personalità non solo professionale, nonché la cultura umanistica. La mia navigazione nelle tumultuose anse del mare del vino italiano non è di così lungo corso: il mio rapporto col personaggio Tachis non è così profondo, molto più simile a quello di un appassionato che ha orecchiato descrizioni di un’aura mitica, che non quello di un addetto ai lavori.

Ricordo un fugace incontro a un convegno organizzato dalla Facoltà di Agraria dell’ateneo pisano, la grande dignità di un distinto, anziano signore pienamente consapevole della fama che lo accompagnava ma che non ne menava vanto; e che anzi dava l’impressione di sottostare quasi con rassegnazione, trasfigurata dall’innata cortesia, alla doverosa presentazione, una tra tante, e allo scambio dei biglietti da visita.

Ricordo la sensazione di orgoglio provata ai gentili complimenti della figlia Ilaria, nella veste di guida di un gruppo di eno-turisti ai quali il sottoscritto aveva tenuto una degustazione; complimenti aureolati di un cognome che significava, comunque, qualcosa di più.

Ricordo, infine, la sensazione di tenerezza impietosita provata ad un convegno sul vino toscano ad un Florence Wine Event di qualche anno fa: nel ritrovare quello che appariva un dolce vecchio nonno, compostamente seduto al banco dei relatori, sempre silenzioso, l’espressione imperscrutabile ma vagamente assente, al punto che era difficile capire quanto vedesse, sentisse, intendesse. Alla fine, portato via praticamente per mano dalla sua allieva Graziana Grassini, si allontanava da una vita di lavoro e di esempio per tutti a passettini piccoli piccoli, patriarca tornato bambino nel suo essere indifeso di fronte alla malattia.

E poi ci sono le bottiglie. Tra le decine di migliaia di assaggi che ormai costituiscono il mio inadeguato percorso enoico, numerose volte le frequentazioni che maggiormente mi hanno regalato una sensazione di compiutezza, l’impressione di contemplare un punto di arrivo che compulsava e coronava le esperienze precedenti, sono state di bottiglie in cui Giacomo Tachis ha messo la mano, il palato, la mente, il cuore. In cui ha praticato rigore, tecnico e compositivo; ha espresso precisione; ha rifinito eleganza, divisato profondità gustativa e di personalità, creato un nuovo canone di espressione territoriale di maggior valore proprio in quanto sottilmente ineffabile e non platealmente evidente, con superiorità di visione e ampliamento di prospettiva.

Poi si può ragionare di Sangiovese sì, Sangiovese no o forse; dell’espressività dell’assemblaggio internazionale in Chianti e/o in Toscana in generale; della maggiore o minore riuscita di quelle etichette in cui maggiormente emerge la mediterraneità, o di come e quanto la sperimentazione sistematica dei più diversi vitigni in Sicilia abbia effettivamente giovato all’enologia dell’isola; e dulcis in fundo, se l’uvaggio del Sassicaia non contenga inconfessate digressioni dal taglio bordolese.

Tutto questo si può fare, magari con competenze tecniche ed esperienze superiori, per alcuni che ne discettano con leggerezza. Si può fare, purché non si dimentichi quella percezione di olimpica complessione, filigranato ma saporito charme che certe bottiglie sanno comunicare. E come ciò ci trasporti a un mondo di gioie, al quale essere ammessi è un privilegio, e richiede studio, e applicazione, e umiltà, tanta umiltà. Se questo non è il tema, e lo sfondo, e il contesto, nell’ambito del quale si discute dei vini di Giacomo Tachis, allora, davvero, parliamo un linguaggio diverso.

Tratta bene la terra, e la terra ti tratterà bene. (Giacomo Tachis, citazione apocrifa)

R.I.P. Giacomo. Ti vogliamo bene. (r.m.)