Supponiamo di dover gestire un colosso del vino in crisi. Un colosso che, sotto il nome di Treasury Wine Estates, era poco tempo fa una divisione del gruppo internazionale Fosters.

Per  capire meglio, del gruppo facevano parte dei nomi storici del Nuovo Mondo come Lindeman’s e Penfolds in Australia e Beringer in California. Ma ci potremmo mettere anche Beaulieu, Stag’s Leap in California e Rosemount e Wolf Blass in Australia e, tanto per non farsi mancare nulla, Castello di Gabbiano nel Chianti Classico.

Bene, questo colosso all’inizio del nuovo millennio dimostra di avere i piedi di argilla. Cambiano un paio di CEO, ma le cose vanno sempre peggio. Le azioni perdono prima il 25% del loro valore poi il 50%. Bisogna correre ai ripari ovvero tagliare qualche testa e assumere nuovi manager.

Pensate per un momento come si sarebbe comportato un manager del Vecchio Mondo. Per prima cosa una bella valorizzazione dei territori, il racconto della storia di ogni singola azienda, dei vitigni e del loro adattamento a suoli ultragalattici, una promozione dei risultati ottenuti fino ad ora con la critica, un coinvolgimento dei buyers, degli importatori dei grandi chef con cene e abbinamenti sopraffini.

Qui invece siamo nel Nuovo Mondo, ovvero nel mondo del marketing, delle action devices per ottenere un feed-back dal target,  dello story telling per il social advertising per indurre una call to action, con customer satisfaction.

Allora  nel 2014 prende le redini in mano un certo Michael Clarke, che precedentemente aveva diretto come CEO il settore food della Kraft, della Coca Cola e della Premier, un neofita assoluto nel mondo del vino, , uno che a parlargli di vigneron e di terroir si metterebbe in ansia, ma che ha una grande conoscenza del marketing alimentare ed è impregnato di pragmatismo allo stato puro.

Nel 2015 Treasury comincia a ridurre la presenza sul mercato anglosassone per concentrarsi in Asia, dove i margini sono molto più alti. Nel 2016 si disfa di 12 brands di vini economici e comincia a collezionare vini di lusso razionalizzando la loro presenza sul mercato cinese e americano. Contemporaneamente acquista le operazioni della Diageo in UK e in USA.

  La Treasury attualmente, dopo la sua cura,  si presenta con questi numeri: 3.400 impiegati, oltre 70 brands, 34,6 milioni di casse vendute (415 milioni di bottiglie), 13.000 ettari di proprietà, 70 paesi nei quali sono venduti i vini in quattro mercati di riferimento:  Australia, America, Asia ed Europa.

Ma allora, come agisce un imprenditore che non sa niente di terreni argillo-calcarei, di portainnesti, di cloni, di epoche di vendemmia, di botti in acciao e barriques? Dobbiamo vendere vino e ne dobbiamo vendere grandi, enormi  quantità. Gli intenditori? Quanti sono? Ah, così pochi? Una nicchia? Non ci interessa niente di loro.

Facciamo una ricerca di mercato sui potenziali bevitori neofiti, per i nuovi mercati, tra i quali l’Asia rappresenta il più promettente. Qual è il gusto dei millennial, ma anche dei più anziani, delle grandi masse che bevono per moda e che magari fino ad oggi una bottiglia di vino non l’hanno mai vista neppure in foto?

L’assaggio

Un gusto molto semplice, diverso da quello di chi apprezza Barolo e Bordeaux di almeno 20 anni. Un gusto nuovo e particolarmente immediato. Vediamolo subito:

19 CRIMES HARD CHARD 2018 SOUTH EASTERN AUSTRALIA

Chardonnay 100%

Poco da dire: il rufianesimo fatto vino. La veste è tecnicamente impeccabile di un bel giallo appena dorato limpido e brillante. Il naso di una semplicità disarmante, frutto maturo di banana e mango con note vanigliate ben evidenti.

Il gusto è decisamente dolce sia all’attacco che per tutto il percorso di bocca, con ritorno di frutto giallo maturo e crema. Di freschezza acida non se ne parla proprio. Decisamente poco probabile per chi è abituato (anche saltuariamente) ad apprezzare uno Chablis.

19 CRIMES RED WINE 2017 SOUTH EASTERN AUSTRALIA

Shiraz – Grenache – Mataro

Come sopra. L’aspetto visivo è forse quello più rassicurante con un rubino carico e luminoso. Il naso è un concentrato di confetture di prugne e bacche nere mature con in fondo qualche nota speziata che ricorda il cardamomo e l’incenso sui banali cioccolato e vaniglia. Non chiediamo di approfondire da quali legni provengano gli aromi (dicono 100% rovere americano).

In bocca ha la stessa tendenza dolce del bianco declinata sul frutto nero. Marmellatoso, sciroppato, il tannino è massiccio anch’esso. Un vino dolce e tannico per niente confacente agli equilibri ai quali sono abituati i nostri palati. Ci sono 12 g/l di zucchero residuo con 13,5° alcolici. Insomma vini studiati a tavolino per piacere immediatamente a chi un bicchiere di vino non lo ha mai assaggiato.

Il gusto da solo però non basta a far vendere, è casomai solo una premessa alle azioni successive. Quelle di marketing, appunto.

Le nuove tendenze

Quali sono le nuove tendenze della comunicazione, qual è il messaggio che provoca l’emozione più forte in grado di attirare l’attenzione di un utente in maniera veloce e di catturarlo all’interno della ragnatela tessuta dal marketing manager?

Oggi come strumento di comunicazione è di moda la sofferenza, in una varietà di declinazioni che dipendono dal target di riferimento (mi adeguo anch’io alla terminologia). Occorre utilizzare la teoria dell’eroe caduto che si rialza, oppure del reietto che si redime.

Tutto questo vale il doppio se applicato alla rete, ai social, al web marketing. Occorre fare un’accurata ricerca sui sentimenti del potenziale cliente in relazione ad un altrettanto particolare bisogno e trasferire il tutto nel messaggio promozionale. Non sono più i tempi dell’AIDA ( Attention, Interest, Desire, Action), ma l’attention getter è basato sulla sofferenza ed è molto delicato e difficile da individuare.

Ecco dunque che Treasure Wine si inventa  il vino 19 CRIMES, 19 crimini, con tanto di criminale sbattuto in etichetta e che si mette a parlare raccontandoti la sua storia grazie all’utilizzo della realtà aumentata. Ovvero: il colpo di genio! Il colpo che vende in anno 12 milioni di bottilglie.

Il nome deriva da una curiosa piega della storia coloniale del Regno Unito. Nel 1788 si iniziarono ad espellere i più feroci e incalliti criminali, mandandoli in esilio in Australia, come dire, per quei tempi, alla fine del mondo, in balia di se stessi e della natura, con possibilità (abbastanza remota) di sopravvivere e di rifarsi una vita. Questa pratica durò fino al 1868.

19 Crimes prende il nome dai 19 crimini che rendevano il colpevole passibile di essere deportato. I supposti crimini che rendevano passibili di espulsione erano la bigamia, falsificazione di moneta, l’incendio dei boschi, la ricettazione, i grandi furti, l’aggressione a scopo di rapina, l’appropriazione indebita, e così continuando, ma si arrivava fino all’”impersonare un egiziano”.

Dico supposti, perché sembra che la vera storia sia leggermente diversa e poco documentata, ma questo ha poca rilevanza sul nostro fenomeno vino. Ben 165.000 criminali fecero il lungo viaggio in quel periodo.

Lo studio della figura di questi criminali finiti in etichetta fa parte di un progetto preciso che prende come target una figura di millennial dotato di una certa fragilità di carattere, che si sente un po’ furfante, che amerebbe essere un fuorilegge per sfidare le convenzioni e lo stato costituito. Il vino del fuorilegge incontra l’aspirante rinnegato, però il fuorilegge scelto è uno di quelli che sono riusciti a redimersi e l’aspirante rinnegato non ha altro obbiettivo che farsi redimere.

Se la realtà è aumentata…

Il fulcro di tutta questa operazione consiste nell’utilizzo della realtà aumentata. Si scarica un’App sul proprio smartphone (app peraltro piuttosto pesante), quindi si punta il volto raffigurato in etichetta, ed ecco che questo personaggio comincia a parlare, raccontando  la sua storia, mentre chi guarda, sorso dopo sorso, ci scola tutta la bottiglia con grande godimento di Mr. Clarke, dello studio tecnologico Tactic e dell’agenzia pubblicitaria J. Walter Thompson di San Francisco.

Oltre a questo, esaminando la bottiglia si percepisce chiaramente un attentissimo studio dei dettagli. La scelta dei colori scuro seppia,  delle immagini d’epoca, le etichette perfettamente curate, il vetro spesso e satinato e, dulcis in fundo, il tappo. Sì perché l’Australia è il regno del tappo a vite, dello Stelvin e compagni, e qui, invece, abbiamo il tappo di sughero.

Orbene: i vini al momento sono 7, ma i crimini 19 e ad ogni crimine è associato un tappo personalizzato. Cosa di più invitante che non collezionarli? Anche perché  uno di questi tappi è più difficile da trovare e la collezione completa consente di partecipare al concorso per vincere un viaggio in Australia.

Anche l’etichetta di O’Reilly è rarissima e la sua pubblicazione si Instagram dovrebbe far vincere un premio (fatto! Vedremo). Costo medio 7-9 £ in UK, 7-9 $ in USA. Stappate, gente, stappate! Questo si che è marketing, altro che territorio!

Paolo Valdastri

Vedi anche: https://corrieredelvino.it/featured/pensieri-dallombrellone-n-3-i-19-crimini-del-pinot-grigio

 

19 CRIMES

www.19crimes.com

Dall’etichetta:

Nineteen Crimes turned criminals into colonists. Upon conviction, British rogues, guilty of at least one of the 19 crimes, were sentenced to live in Australia, rather than death. This punishment by “transportation” began in 1788, and many of the lawless died at sea. For the rough-hewn prisoners who made it to shore, a new world awaited.

As pioneers in a frontier penal colony, they forged a new country and new lives, brick by brick. This wine celebrates the rules they broke and the culture they built.

19 CRIMES RED

In etichetta John Boyle O’Reilly, un irlandese appartenente alla Fratellanza Feniana, organizzazione segreta di separatisti, arrestato nel 1866, e condannato a morte. La condanna fu poi commutata in deportazione in Australia. Fuggito nel 1869, si stabilì a Boston e divenne uno scrittore, poeta e attivista.

19 CRIMES CHARD

In etichetta Jane Castings, condannata a sette anni per aver ricevuto formaggi e bacon pur sapendo che erano stati rubati.