L’incipit è sempre il medesimo: estrapolare i migliori assaggi da una sessione intensa e frenetica come quella delle Anteprime toscane equivale a selezionare le “migliori” emozioni, e ciò è quanto meno riduttivo, se non offensivo, nei confronti di tante altre etichette che meritano un’attenzione più prolungata, e più di una prova. Tanto più in quel di San Gimignano, con vini spesso imperscrutabili, sia in quanto non ancora assestati, oppure per le prospettive di un’evoluzione potenzialmente assai gustosa. Praticamente OGNI bottiglia proposta merita un approfondimento!

Pertanto, modestamente, senza pretesa di apodittiche proclamazioni dei migliori, ecco di seguito alcuni campioni che mi hanno colpito, che non disdegnerò di riassaggiare, magari a tavola, che poi è il luogo dove la Vernaccia (e non solo) dà il meglio di sé.

In ordine sparso

Vernaccia di San Gimignano Riserva 2015 Vigna ai Sassi Tenuta Le Calcinaie: ormai un classico che non tradisce. Anche in un’annata calda come il 2015, l’esuberanza della materia non si sottomette a un eccesso di opulenza, la sapidità la allunga, il frutto coesiste con la balsamicità. E in bocca spinge, eccome. Un plauso anche per la Vernaccia annata 2017, tra le non moltissime con insieme frutto e acidità confortante.

Vernaccia di San Gimignano 2016 Campo della Pieve Il Colombaio di Santa Chiara: naso agrumato e rinfrescante, palato teso e salatissimo (ma ha polpa), futuribile, per ora compresso come frutto. Bene anche la Riserva 2015 L’Albereta, potente, ottimamente equilibrata e dal legno ben integrato. Illeggibile per adesso l’annata 2017 Selvabianca.

Vernaccia di San Gimignano Riserva 2016 La Lastra: amo definirla il “Riesling di San Gimignano”… Ha due primati: il naso più salino di tutti (con gli agrumi Mosella style a far da pendant), e poi è la più persistente, anche se non ancora del tutto aperta aromaticamente al palato. All’annata 2017 il millesimo nega la consueta spinta, ma è saporita e attacca con dolcezza di frutto.

Vernaccia di San Gimignano 2017 San Quirico: naso molto in divenire, più “uvoso” che vinoso, con un tono vegetale fragrante; ça va sans dire, la freschezza al palato fa dimenticare il millesimo, e non è una novità. Mettiamoci che è profonda e non manca di frutto, e la si attende volentieri.

Vernaccia di San Gimignano Riserva 2015 I Mocali Vagnoni: bevuta a cena, si è magnificamente abbinata alle creazioni di pesce dello chef Luciano Zazzeri del ristorante La Pineta di Bibbona (a proposito, un ringraziamento al Consorzio per averlo portato a deliziarci tra le torri). Ma avrebbe spiccato anche in degustazione cieca: ottimo connubio tra maturità di frutto, saporosità, acidità che ne slanciava la beva. Talmente piacevole da bere c’era il rischio di sottovalutarne la notevole complessità. Invece imperscrutabile al momento l’annata 2017.

Vernaccia di San Gimignano 2017 Palagetto: bella riuscita per un’etichetta “base” in un millesimo problematico. Rimarchevole complessità al naso, tra fiori bianchi e mandarino maturo; palato abbastanza avvolgente senza aver abdicato all’acidità. E’ vero che aromaticamente un po’ vi si semplifica, ma si beve con grande gradevolezza.

Vernaccia di San Gimignano 2017 Il Nicchiaio Fattoria Poggio Alloro: come sopra, ovvero un vino che a dispetto dell’annata riesce a raccontare ciò che il territorio gli conferisce. Olfattivamente piuttosto articolato, con salinità e fiori bianchi fragranti, più qualche tono “dolce” (canditi?), forse un po’ insistito ma in sé non sgradevole. Bocca saporita e abbastanza fresca, più presente su riconoscimenti vegetali, ma il bicchiere lo si finisce volentieri.

Vernaccia di San Gimignano 2016 Tradizionale e 2015 Fiore, Montenidoli: manco a dirlo, forse le più futuribili. Leggermente evoluta al naso, ma di bocca compressa ma saporita, opulenta ma fresca, la prima; più fragrante all’olfatto, ma più anche piena al palato, la seconda, di ottima prospettiva. Ha invece forse superato il suo momento migliore la Carato 2012.

Vernaccia di San Gimignano 2017 Tenuta Montagnani: la nuova avventura di Mattia Barzaghi inizia sotto i migliori auspici. Un naso in corso d’opera ma elegante e rinfrescante, una bocca che fa dimenticare il millesimo per freschezza non disgiunta da una piacevole avvolgenza, e non era facile conseguire le due qualità allo stesso tempo. Tra le migliori riuscite del millesimo.

Infine, doveroso cenno all’interessante degustazione comparativa organizzata dal Consorzio nello scenario, ogni anno sempre affascinante, della Sala Dante all’interno del Palazzo Comunale della città delle torri.

A differenza dei consueti confronti/abbinamenti con denominazioni straniere, il tema di quest’anno era la vinificazione “in riduzione” dei vini bianchi. L’assunto sviluppato dai competenti relatori (Daniele Cernilli e Riccardo Silla Viscardi) era che i vitigni autoctoni italiani sono piuttosto scarsi in profumi primari, e possono quindi giovarsi della complessità che si sviluppa dopo adeguata permanenza sulle fecce fini (es, sentori di pietra focaia, l’attualmente dibattutissimo “minerale”, ecc.).

Gli assaggi (alla cieca) venivano proposti a coppie, ovvero una Vernaccia versus un altro bianco italiano, entrambi ovviamente vinificati secondo lo stile in esame; i giornalisti intervenuti erano sfidati a distinguere il vino toscano dall’altro, cosa in effetti spesso non facile poiché più di un campione risentiva di un’interpretazione enologica un po’ “internazionale”, leggi ricerca insistita della maturità, nonché uso un poco invasivo del legno in affinamento.

Steso pietoso velo sui risultati dei vari “quiz” (ma chi Vi scrive non si è comportato affatto male!), è d’obbligo sottolineare l’impressione lasciata soprattutto dalle Riserve 2010 Vigna a Solatio di Casale Falchini (elegantemente evoluta al naso, fresca e persistente al palato) e 2014 Sanice di Cesani (matura e avvolgente per l’annata). E mi si consenta di citare il più affascinante degli ospiti, ovvero il Greco di Tufo Vittorio di Roberto Di Meo, complesso, profondo ed equilibrato.

Riccardo Margheri