Cosa vuol dire Grande Annata? Cosa ne deriva per lo stile e il futuro del Brunello in generale, e dei Brunello 2010 in particolare?

Ok. Abbiamo asseverato che a Montalcino il 2010 è veramente una Grande Annata. Lo hanno scritto tutti prima, durante e dopo Benvenuto Brunello, su tutti i media possibili e immaginabili, in Italia e all’estero. Punteggi stratosferici sui magazines di riferimento e 100/100mi di risonanza mediatica. Voci di corridoio su disponibilità di cantina evaporate nello spazio di un mattino, dopo una buona valutazione da parte di un guru del settore, anche per aziende non tra le più blasonate, come avveniva in anni ruggenti mai dimenticati. Eno-appassionati che ricercano bottiglie già introvabili manco fossimo al mercato nero, ecc. ecc.

Ma allora, e comunque: in che senso il 2010 è una Grande Annata a Montalcino? Cosa vuol dire Grande Annata? Cosa ne deriva per lo stile e il futuro del Brunello in generale, e dei Brunello 2010 in particolare?

Una premessa: lasciamo per favore perdere la valutazione ufficiale della vendemmia in Stelle. I Consorzi fanno il loro lavoro, che nel caso di Montalcino è ottimamente svolto. Ma, a prescindere, la valutazione riguarda un vino fatto per durare anche decenni che viene colto in un momento in cui a malapena ha terminato la fermentazione malolattica. Più ancora, i campioni esaminati sono necessariamente un’approssimazione della totalità della produzione, nella sua pluralità di differenze e di areali. Pertanto, con tutto il rispetto per la competenza e sensibilità dei degustatori, e vista anche la tara delle necessità promozionali ,del Consorzio, l’attribuzione delle Stelle lascia il tempo che trova. Un esempio, tra i numerosi possibili, che mi fu fatto notare da un grande conoscitore di Montalcino come Armando Castagno: su circa 150 aziende aderenti a Benvenuto Brunello, solo una su dieci presentò la Riserva per l’annata 2005, valutata a ben 4 Stelle. Ed è detto tutto.

L’espressione “Grande Annata” viene tradizionalmente spesa quando, in media, la maggioranza delle uve raccolte in vendemmia risulta di un buon grado di maturazione. Quando la produzione aveva aspirazioni più quantitative che qualitative, questo significava soprattutto il raggiungimento di un adeguato grado zuccherino. In tempi più recenti, il concetto coinvolge anche maturazione fenolica, conseguimento di un giusto equilibrio tra zuccheri e acidità (possibilmente senza eccessivi sacrifici in termini di produzione), ecc.

Come tutto ciò si connette alla qualità delle etichette in commercio? Innanzitutto occorre ricordare che si tratta di qualità percepita, ben prima che verificata, attraverso la mediazione dei report di assaggio di degustatori più o meno autorevoli e credibili, con la massima variabilità a seconda del contesto di riferimento, anche geografico oltre che stilistico. E’ questa una pratica che è invalsa molto prima nel mondo anglosassone, specie statunitense, ben prima che nel Bel Paese: conseguenza di una cultura che molto più della nostra tende alla sistematizzazione delle conoscenze e dei giudizi; e in cui la pervasività dei media ha perversamente creato delle “autorità” dal cui parere, anche (e magari soprattutto) se tranchant, non si può prescindere. Come ben noto, ciò si è concretizzato nella scala dei punteggi in centesimi, al contempo benefica e anti-elitaria (per immediatezza di comprensione) e famigerata (per rigidità di giudizio).

Ebbene, stiamo parlando di valutazioni di riferimento per un pubblico e dei mercati per i quali la fruibilità dei vini, anche quelli di Montalcino, si estrinsecava in una modalità particolare: da un lato consumisticamente legata all’immediatezza (nuove annate da acquistare e bere nel più breve tempo possibile); dall’altro disgiunta dal rapporto col cibo, con la convivialità che si esprimeva post-modernamente nella condivisione di una bottiglia in compagnia ma DOPO il pasto. Con la lieve intossicante ebrezza alcolica, la dolcezza del frutto e la morbidezza della struttura a fungere da stimolo alla conversazione, quasi a ben disporre a un convivio platonico in stile radical-chic.

Senza ovviamente pretesa di sistematicità, questa tendenza non è scomparsa. Soltanto, con la diffusione e la moda della cultura foodie, e la superiore importanza recentemente attribuita al cibo sono fortunatamente tornati in auge aspetti legati all’equilibrio generale del vino, al suo abbinamento con la pietanza, alla sua bevibilità. E gli stessi panel di degustazione, se ripetuti con questi diversi paradigmi, darebbero risultati completamente diversi.

Con tutto ciò, non si pretende certo di sintetizzare in un paragrafo la storia della critica enologica nell’ultimo trentennio. Ma chi Vi scrive ritiene che le predette considerazioni possano costituire una buona base di discussione.

Torniamo alla nostra Grande Annata: a suo tempo l’impatto del frutto, dell’avvolgenza, dell’opulenza hanno avuto un’importanza fondamentale nel ritenerla tale, per il singolo produttore e per la denominazione in generale. Con più di un’azienda comunque sbilanciata verso la ricerca della maturità a tutti costi (in realtà, a prescindere dall’annata…): perché potesse venire amplificata dal giudizio entusiastico dell’opinion maker di turno, con relativo riscontro commerciale.

A volte purtroppo è successo che queste scelte stilistiche, anche se paganti in termini di fruibilità immediata, abbiano pesantemente limitato il cammino del vino verso una superiore eleganza, regalo del tempo dell’affinamento in bottiglia. Non solo, l’omologazione della dolcezza a tutti i costi ha mortificato l’espressione delle specificità territoriali. Quindi vini di impatto in gioventù, ma dal ciclo di vita breve, e dalla grandezza relativa.

Il nostro 2010 è grande proprio per motivi opposti. Un concetto di maturità interpretato nel senso della virtuosa interazione di tutte le componenti del futuro Brunello. Una bella acidità compiutamente integrata nel corpo del vino, fitto di tannini maturi. Quindi esemplari meno marcati dal legno (anche nel caso di etichette di solito piuttosto generose da questo punto di vista): proprio perché la superiore materia di base da un lato meno necessitava di affinamenti così impattanti; dall’altro meglio poteva sopportare l’apporto (e in qualche caso l’offesa) del legno. Una struttura non enorme (è stato giustamente detto inferiore ad un 2006, esempio), ma già giustamente equilibrata, di splendida, accattivante beva. Un corredo aromatico adesso in più di un caso ancora contratto, ma i cui prodromi già lasciano intravedere un’accattivante fragranza: in attesa del necessario (normale! dovuto!) tempo in bottiglia per dispiegarsi completamente. Un livello medio molto alto, quindi picchi meno evidenti (soprattutto adesso, nelle more della piena espressione gusto-olfattiva), ma anche meno grosse delusioni.

Ebbene sì, è una Grande Annata. Che potete bere anche adesso, con grande piacevolezza e a Vostro rischio e pericolo. O che potete aspettare: giusto per imparare ancora una volta che i grandi vini sfidano il tempo, e ce ne insegnano il valore.

Riccardo Margheri