A bocce ferme, terminata la frenesia degli assaggi, vale la pena di avviare una riflessione sulle Anteprime toscane

A bocce ferme, terminata la frenesia degli assaggi, agli archivi anche l’urgenza di documentare “l’evento”, vale la pena di avviare una riflessione sulle Anteprime toscane, su quanto hanno rappresentato, sulle lezioni che se ne possono trarre. Dopo tutto, trattasi di occasioni nelle quali si tenta di estrapolare un giudizio su vini che nel corso di TUTTO l’anno saranno venduti, bevuti, goduti, anche meditati e descritti. E le linee guida/premesse di tutta questa elaborazione sensoriale e mediatica scaturiscono proprio dalle Anteprime. Di qui l’esigenza di tornarci sopra con più serenità e meno ansia.

E iniziamo dal Chianti. Denominazione ombrello che può mobilitare ingenti risorse da parte delle numerose aziende aderenti, ma che rappresenta un vero e proprio incubo promozionale. Sette sottozone distinte, ognuna con le proprie specificità da comunicare; comunque in lotta con la popolarissima immagine stereotipata (anche e soprattutto all’estero) del Chianti nel fiasco impagliato sui tavoli delle trattorie con le tovaglie a scacchi bianchi e rossi; e sempre a rischio mortificazione degli sforzi compiuti dai produttori per innalzare l’asticella della qualità, e valorizzare le rispettive caratteristiche territoriali.

Il risultato: disaffezione nell’uso dell’indicazione della sottozona, rischio di omologazione stilistica, sovraffollamento del mercato. E necessità di volgere gli impegni di marketing verso un pubblico più indifferenziato. Non a caso l’Anteprima, svoltasi il 14 febbraio scorso (data strategica) negli spazi post-industriali della ex Manifattura Tabacchi alle Cascine a Firenze, non ha conosciuto solo il momento della degustazione tecnica con la stampa di settore: in parallelo, potentemente pubblicizzato dai media, l’evento modaiolo (sorta di happy hour/apericena) ha coinvolto tutta la movida fiorentina, felicemente alle prese con immediatezza e facilità di beva di molte etichette proposte.

Vi era sì l’occasione di sperimentare il fascino della degustazione, e di approfondire differenze magari mai nemmeno immaginate; ma in quel contesto (fortemente voluto dal Consorzio e perfettamente realizzato) non erano quelli gli elementi preponderanti.

Quanto segue non pretende di essere una relazione completa degli assaggi di tutte le sottozone: il tempo limitato (tanto più abbreviato dall’apertura al pubblico), e qualche iniziale pecca del servizio dei sommelier (gentili e professionali, ma sulle prime poco organizzati), hanno impedito a chi Vi scrive di dedicare il tempo necessario ai Colli Fiorentini e ai Colli Senesi, entrambi meritevoli di ben altra attenzione. Pure, integrando i più di 100 assaggi compiuti con i “richiami” di altre vicine occasioni di degustazione, qualche conclusione è possibile trarla.

Innanzitutto, l’annata 2014 non è poi così male come si poteva temere viste le premesse: da più areali, più di un vino di gradevole scorrevolezza, con un frutto semplice ma ben focalizzato, senza i toni paventati toni vegetali. Merito della cura dei produttori e della selezione in vigneto all’atto della vendemmia.

In secondo luogo, si assiste all’abbandono del ricorso alla sottozona, con sempre più aziende in uscita con “meri” Chianti DOCG. Si tratta dell’intelligente sfruttamento della visibilità di un brand tra i più conosciuti, anche sui mercati esteri. La citazione della sottozona rischierebbe di annacquarne l’evidenza, senza contropartita in termini di riconoscimento di identità.

I due areali maggiormente legati al proprio nome sono la Rufina e Montespertoli. Il Chianti Rufina è corpo estraneo rispetto alle sottozone consorelle, capace com’è di generare Sangiovese relativamente brusco in gioventù, ma di meraviglioso potenziale di longevità. Quasi l’opposto degli altri comprensori, al punto che la loro compresenza nella stessa degustazione creava contrasti quasi imbarazzanti. Un recente assaggio in batteria di ben 14 Riserve sui venti produttori totali della denominazione, peraltro confermato alle Anteprime, ha mostrato un panorama di profondità ed eleganza, con vini di buona tensione, dal tannino rifinito, e ancora in attesa di distendere tutto il loro potenziale aromatico. Sugli scudi, tra gli altri, il Bucerchiale 2011 di Selvapiana, la Riserva del Don 2009 di Villa di Colognole, la Riserva 2009 di Frascole, ma altri ancora sarebbero meritevoli di menzione.

Montespertoli, dopo tutto, è la sottozona più recente (1997), e l’unica il cui nome sia quello di una località specifica, quindi un po’ di sano orgoglio di campanile ci può pure stare. I vini oscillano tra la scorrevolezza fruttata di etichette derubricate a Chianti DOCG (bene il 2014 di Casa di Monte), e Riserve con ambizioni di longevità (ottima l’acidità del 2007 della Tenuta di Morzano, dal legno elegante). I Chianti Montespertoli annata oscillano tra questi due estremi: gli esempi migliori abbinano buona struttura e acidità, caratteristiche del territorio, a piacevole immediatezza di frutto,  ma sono in minoranza numerica.

La denominazione Colline Pisane sembra conoscere un progressivo abbandono, con la concorrenza interna della nuova DOP Terre di Pisa (altro brand ben sfruttabile sui mercati esteri, a causa della Torre Pendente). Anche qua note liete dai Chianti 2014, tutt’altro che vegetali (anzi!) e ben equilibrati (es. Varramista, San Gervasio, Uccelliera). Un certo carattere territoriale si evince dalla sapidità derivante dai vigneti impiantati su antichi fondali marini.

La sola azienda Betti era presente con un Chianti Montalbano (più quello di un produttore di Carmignano, per cui costituisce etichetta residuale). Colpa forse di un territorio meno vocato di altri? Negli assaggi, meglio l’annata rispetto a una riserva un po’ ambiziosa.

Infine, i Colli Aretini: zona che Vi scrive spera di poter presto riesaminare in modo più approfondito, dopo l’assaggio di più di un vino dal buon grip tannico e di bella profondità sapida. Anche qua le etichette migliori escono come Chianti: vedi i DOCG base e selezione di Buccia Nera e Camperchi.

Riccardo Margheri