Ma allora se non è poi così conveniente presentare i vini en primeur, in che consiste un’Anteprima? Quali e quanti vini è lecito e consigliabile presentare? E, soprattutto, quando? Per prima cosa dobbiamo avere ben presente quello che è il target di chi i vini li presenta. Scartando il consumatore finale, che costituisce l’ultimo anello della catena e dunque curato in altri momenti, il target sarà costituito dai comunicatori (giornalisti specializzati di settore, dai redattori delle Guide Vini, dagli opinion leader, dai blogger, ormai ineludibili), oppure dal trade, oppure da entrambe le cose.

Tutta gente che comunque con il vino sa come comportarsi e che è ansiosa di conoscere la cosa più importante per la redazione delle notizie o per i propri acquisti, e cioè il panorama delle novità, i nuovi vini con le annate che escono in commercio nell’anno in corso.

Cosa che puntualmente facevano i primi Anteprimisti come Chianti Classico, Brunello e Nobile.

Ma anche qui le cose possono complicarsi a causa delle differenze di vedute tra un produttore e l’altro.

Prima di tutto non è detto che ogni produttore scelga di uscire sul mercato nello stesso momento in cui il disciplinare glielo permette. Per alcuni il proprio vino deve essere affinato per periodi più lunghi rispetto agli altri, con la conseguenza che all’Anteprima avremo un’annata di riferimento, quella prevista dai dettami del disciplinare, con una nutrita schiera di etichette, ed uno sciame di bottiglie di annate anteriori, per le quali il degustatore dovrà fare mente locale alle particolarità climatiche delle annate stesse. Nessun problema se il vino esce bene, mentre nel caso che il risultato non sia eccezionale, il bravo assaggiatore si domanda che senso abbia investire capitali nella giacenza del prodotto e se non si tratti invece di qualche altro tipo di problema.

Poi, per ogni zona a Denominazione, c’è il problema degli altri vini. Degli IGT, ovvero dei Super Tuscan, (Super Piedmont e via dicendo), termine che non significa niente a livello normativo, ma che non si riesce a sradicare dalle penne dei giornalisti anglosassoni neppure ricorrendo alle torture più atroci. Ci sono dei vini classificati IGT (o IGP o IG come preferite) che sono diventati dei veri e propri vini cult di una zona, vini ormai oggetto di ricerca da parte di collezionisti, quotati addirittura alle aste internazionali. Che fare di quei vini? Un consorzio dovrebbe presentare solo i vini della Denominazione che rappresenta, in tutte le tipologie previste dal disciplinare, ma solo quelle. Alla base c’è il problema dell’origine. Magari sappiamo tutti che quel determinato Super Tuscan proviene rigorosamente da quel territorio, anche perché è molto improbabile trovare  altrove un prodotto di eguali qualità e caratteristiche. Ma la garanzia legale non c’è e quindi un consorzio non può assumersi la responsabilità di presentare un territorio attraverso questi vini. Dall’altra parte, però, al giornalista, all’opinion leader, al buyer  non gliene può importare di meno delle fisime dei consorzi. Affronta un viaggio per venire a conoscere la produzione di un territorio, magari a sue spese, e, come è ovvio, la vuol conoscere tutta, indipendentemente dalla classificazione legale, vuol conoscere soprattutto i vini che hanno un mercato più forte, e molto spesso gli IG rientrano in questa categoria.

Ecco quindi che gli organizzatori delle Anteprime si trovano di fronte a scelte non facili a livello di selezione e di comunicazione.

C’è da dire che chi viene per conoscere i vini in maniera professionale in questo tipo di manifestazioni non è uno sprovveduto in materia di vino. Per più o meno bravo che sia, ha pur sempre una capacità di discernimento, sull’argomento vino, superiore alla media, e quindi dovrebbe essere in grado di orientarsi senza problemi anche di fronte ad un’offerta variegata in termini di tipologie e di annate. A volte, però, nel produttore scatta una molla particolare, un atteggiamento di diffidenza verso la categoria dei giornalisti e degli opinion leader, che lo porta a ritenere poco affidabili le persone che devono giudicare la sua creatura. Un atteggiamento per cui ogni minimo rilievo, anziché essere accettato costruttivamente come stimolo a migliorare, viene vissuto come un’ingiusta critica nei propri confronti da parte di persone faziose o poco competenti, e come uno sgarbo nei confronti di chi investe denaro e fatica per ricavare un prodotto tanto nobile.

Ecco allora scattare il meccanismo minimalista: si presentano una, al massimo due tipologie, e di una sola annata, così quello sprovveduto del degustatore si orienta meglio ed ha una comprensione migliore del territorio.

Non è finita: per complicare viepiù le cose subentra il problema del momento nel quale il vino è pronto per essere giudicato. E qui chi più ne ha più ne metta. Il problema è reale e molto complesso. Fior di giornalisti hanno rischiato la reputazione per aver sbagliato il momento giusto. Robert Parker, per esempio, che non è proprio l’ultimo sconosciuto, ha dovuto smettere di giudicare i vini di Borgogna dopo le feroci critiche da parte di Antony Hanson che lo accusava di non aver capito niente su quei vini (This can only have been written by someone who does not really understand the region’s wines- A. Hanson BURGUNDY Faber&Faber 1995). Il tutto verteva sul periodo di chiusura e di apertura di quei vini, che Hanson conosceva perfettamente e Parker no.

La stessa cosa si può dire del Sassicaia. Ormai è appurato che questo grande vino ha un periodo di chiusura nel periodo maggio – luglio dell’anno in cui entra in commercio. Ci sono voluti centinaia di assaggi e molti anni per capire questo comportamento, tipico dopo tutto dei grandissimi vini. Assaggiando i campioni fino a fine aprile dell’anno di riferimento, il vino era buono. Poi all’arrivo dei primi caldi il naso si faceva problematico e la struttura incredibilmente tenue, poi in agosto il vino si riapriva più grande di prima e senza più cedimenti.

Il problema consiste nel fatto che i giornalisti delle guide hanno tempi sempre più ristretti per l’assaggio di tutti i vini d’Italia, per cui in maggio iniziano la loro frenetica attività che si deve concludere in agosto in tempo utile per redigere i testi.

Le Anteprime tengono conto anche di questo. Se non si vuole rinunciare ad una prima presa di contatto con i redattori delle Guide, la degustazione deve tenersi prima della fine di aprile, quando però c’è anche Prowein, Grands Jours o Vinexpo, Vinitaly. Ecco che si finisce per fare un’ammucchiata di eventi nei primissimi mesi dell’anno, febbraio in testa.

Qualcuno ha provato a spostare il discorso in autunno, quando i vini sono certamente più pronti. Però si perde completamente l’interesse per i bianchi che hanno già concluso la stagione estiva. Poi ci sono le vendemmie, con i produttori in altre faccende affaccendati. E per finire le Guide sono già stampate, per cui si perde la componente di approfondimento con quel settore. Tutt’al più si può fare una verifica a posteriori dei risultati, così come si verificava nella mia manifestazione Guide inConcordi.

Un bel rompicapo, come si vede, ma niente nel mondo del vino è scontato e semplice. Occorre aguzzare l’ingegno. Qualsiasi scelta sarà, per forza di cose, un compromesso fra varie situazioni. L’importante è che ogni Anteprima costituisca un importante polo di attrazione e di attenzione per i media, tramite la presentazione delle nuove annate, ma anche tramite l’approfondimento della conoscenza del territorio con  manifestazioni o degustazioni collaterali di grande richiamo.

Altrimenti c’è sempre la madre di tutte le alternative: ovvero fare come qualcuno di mia conoscenza che, dubbio dopo dubbio, finì per non fare assolutamente niente.

Alla faccia della comunicazione del territorio.

Paolo Valdastri