INCIPIT

DALL’ALPI ALLE PIRAMIDI dal Manzanarre al Reno…ormai ogni DOC che si rispetti ha la sua Anteprima. Ogni anno, a febbraio, si parte dall’Amarone, si prosegue con il cuore della Toscana, Chianti Classico, Vernaccia, Chianti, Carmignano, Nobile di Montepulciano, Montalcino, poi un po’ di Piemonte e via via si scende sempre più a sud fino alla Sicilia con la sua vulcanica (nel senso dell’Etna) ospitalità.

Una vera e propria moltiplicazione dei pani e dei pesci. Una proliferazione molto utile per i professionisti del settore, sia sotto il punto di vista commerciale che comunicativo, una panoramica che consente di restare aggiornati sulla realtà produttiva, di avere sempre sott’occhio il polso della situazione. Ma anche un fenomeno che sta assumendo i connotati della ridondanza e, cosa più grave, accompagnato spesso da un elemento in più, da un’interpretazione impropria, da quel peccato originale rappresentato dal voler inserire il concetto di primeur, cosa che rischia di compromettere e di rendere poco credibile quanto di buono può essere contenuto nell’idea originale.

Vediamo se riesco a spiegarmi in due passaggi.

Primo, come è nato tutto questo?

Secondo: che cosa si intende esattamente per anteprima dei vini di un territorio?

 

PRIMO STEP.

All’inizio fu Bordeaux. Il fenomeno delle degustazioni en primeur, degustazioni che si tengono regolarmente nei primi mesi di ogni anno, ha origini lontane nel tempo. A metà del XVII secolo cominciò a delinearsi l’istituto dei courtiers, i mediatori incaricati di intrattenere i rapporti commerciali tra produttori e acquirenti, questi ultimi configurati in négociants, fissando ogni anno il prezzo dei vini. Questo sistema commerciale, del tutto particolare e che non trova riscontri altrove nel mondo, si è consolidato nei secoli successivi ed è tuttora perfettamente attivo. Così a Bordeaux il vino viene venduto ogni anno in un’unica soluzione dal produttore al négociant con la benedizione del courtier. Ogni produttore ha il solo compito di fare qualche fattura ai clienti négociant, dopo di che si disinteressa completamente della problematica commerciale tutta a carico di questi ultimi, e si occupa tranquillamente della promozione della propria immagine aziendale.

Il tutto ha il suo momento topico nella operazione di fissazione del prezzo e questa avviene esattamente con le degustazioni en primeur.

Un esercizio non di poco conto, un lavoro di grandissima responsabilità, una degustazione che si svolge in un periodo di tempo ristretto e durante il quale il négociant deve interpretare un prodotto appena nato, in piena evoluzione, riuscendo a intuire la sua qualità futura fissando così il prezzo del vino. Prezzo che si porterà dietro fino al suo debutto sul mercato che avverrà almeno un paio di anni dopo. Dall’altra parte c’è il produttore con il suo vino appena fermentato, privo degli aromi terziari che saranno il suo biglietto da visita più importante, con tannini tutti da risolvere, con gli assemblaggi finali ancora di là da venire. Un bel problema, un rompicapo che certamente non si può risolvere prendendo un po’ di vino qua e là dalle botti e mettendolo in una bottiglia con una spolveratina di zolfo. Ecco che a Bordeaux si è sviluppata, anno dopo anno, una tecnica precisa di preparazione del vino dell’ultima vendemmia, destinato alle degustazioni en primeur. Niente inganni, per carità, l’onore dell’azienda va avanti ad ogni altra considerazione. Semplicemente si preparano alcune barriques appositamente per l’en primeur, compiendo delle operazioni che simulano una maturazione anticipata dello stesso vino. Ad esempio, subito dopo la fermentazione tumultuosa si cerca di capire quali sono le partite migliori e si opera un taglio che sia il più verosimilmente vicino al taglio finale. Poi il vino va a fare la malolattica in barrique, quindi subisce dei travasi ravvicinati, chiarifica e solfitazione per l’imbottigliamento, molto contenuta perché il vino non avrà il tempo di assestarsi a lungo prima dell’assaggio.

Che marchingegno affascinante! Un meccanismo che ogni anno richiama l’attenzione dei media, coinvolti in prima persona negli assaggi, ma soprattutto curiosi di carpire le reazioni dei négociants e di conoscere i prezzi che fisseranno per quella determinata annata. Prezzi che saranno immediatamente applicati a quel pubblico che vorrà acquistare i vini fin da subito, scommettendo sulla loro qualità finale all’atto dell’immissione in commercio, generalmente due anni dopo.

Sull’onda del successo dei primeurs francesi, alcuni produttori toscani, riuniti sotto il marchio Grandi Cru della Costa, decisero, all’inizio del nuovo millennio, di riprendere l’idea reinterpretandola in chiave nostrana. Nessun legame con le finalità commerciali, ma solo un modo per presentare la nuova annata nel suo complesso, con lo scopo finale di dimostrare le peculiarità della Costa Toscana in termini di qualità. Nacque così Anteprima Vini della Costa Toscana, una manifestazione che dimostrava una certa originalità nei confronti delle stesse Anteprime delle zone classiche dell’interno, Chianti, Nobile e Brunello, centrate sulle annate che uscivano in commercio.

Ma non furono tutte rose e fiori. Da una parte i produttori non erano abituati a preparare i campioni per le degustazioni en primeur. Molte bottiglie, anche di vini blasonati, erano semplicemente un miscuglio dei vini ancora grezzi di barrique diverse, assemblati all’ultimo momento dal cantiniere di turno, spesso soggette ad una rapidissima ossidazione, se non addirittura dotate di profumi che eufemisticamente definiremo poco accattivanti.

Dall’altra parte anche molti dei nostri colleghi giornalisti dimostrarono di non essere assolutamente preparati per questo compito.

Un vino da invecchiamento assaggiato a pochi mesi dalla vendemmia va interpretato con un metodo di degustazione preciso. Il colore sarà sempre connotato dalle tonalità della porpora e del violaceo. Il naso non potrà avere nessuna connotazione terziaria, in quanto l’affinamento in botte (ossidativo) ed in bottiglia (riduttivo) è sempre tutto da svolgere. Si può valutare l’aspetto fruttato complessivo, tenendo conto che la maggior parte dei profumi sono ancora fermentativi, ma mancheranno del tutto le note speziate complesse dovute all’interazione con il legno e tutti i profumi dei processi riduttivi che avvengono nella bottiglia tappata, ossia la vera e propria formazione del bouquet. In bocca, poi, si deve tener di conto dell’equilibrio fra acidi e alcol, mentre il tannino va interpretato molto accuratamente per la sua maturità, meno per la ruvidezza e l’astringenza che vanno diminuite mentalmente di quel tanto che corrisponderà all’interazione con l’acido gallico del rovere e con la micro ossigenazione. E invece cosa si è verificato? Purtroppo abbiamo dovuto assistere ad analisi organolettiche dei vini con descrizioni dei profumi lunghe delle mezze pagine, a critiche feroci contro l’eccesso di tannino, ad accanimenti contro i singoli vini, quando l’intento finale era solo quello di giudicare l’annata, magari zona per zona, esercizio che i più si dimenticavano di fare. E si dimenticavano anche che non siamo a Bordeaux, che i vini non erano appositamente creati per questa bisogna e che quindi ogni giudizio definitivo dato in questa fase era semplicemente una cretinata.

Oggi la situazione è leggermente migliorata, ma siamo ancora molto lontani dallo standard francese, anche perché manca, da noi, l’elemento fondamentale che è la motivazione commerciale. Non sono pochi i giornalisti del settore, in larga parte stranieri, che rifiutano di assaggiare i vini en primeur e chiedono solo i vini in commercio.

Purtroppo però questa moda anteprimaiola ha contagiato anche le altre zone. Capita molto spesso di vedersi proporre anche nelle altre DOC o DOCG d’Italia i vini dell’ultima annata, ma fortunatamente gli esemplari in degustazione rimangono abbastanza limitati nel numero e sono raccolti in sessioni a margine, non fondamentali.

Paolo Valdastri