Pinot Blanc, Weissburgunder o Pinot Bianco?

Secondo Erika Maul dell’Istituto per la viticoltura di Geilweilerhof (Germania) ormai è assodato che si tratta, come del resto per il Pinot Gris, di una mutazione genetica del Pinot Noir. Nel passato per la sua forma, per l’acino e per le numerose caratteristiche comuni è stato confuso con lo Chardonnay. Si afferma che la mutazione fino ad arrivare ad essere una bacca bianca sia avvenuta in Germania e più precisamente nell’isola di Ketscher (nell’alto Reno) dove ancora oggi esistono delle sorti di “liane” di Viti selvatiche che, avvolte agli alberi di alto fusto, raggiungono altezze incredibili.

Oggi la Germania detiene la più vasta area d’Europa impiantata a Pinot Bianco; a seguire Francia Italia e Austria. L’Alto Adige insieme a Veneto, Friuli e Lombardia sono i territori nazionali maggiormante vocati.

Di tutto questo e non solo si è parlato a Spatium Pinot Blanc che si è tenuto Venerdì 29 e Sabato 30 agosto ad Appiano sulla Strada del Vino.

Perché Appiano? Perché è il Comune altoatesino con maggiore estensione di vigne e produzione di Pinot Bianco e con questa Prima Manifestazione intende candidarsi a rappresentarlo in italia e nel resto del mondo.

Pinot Blanc: Quo vadis?Oltre alle origini, genetica e contesto storico si è parlato di ricerca sul territorio e che tipo di “comunicazione” attuare per arrivare ai risultati del “progetto di valorizzazione del Pinot Blanc”.

Fino ad oggi parlare di Pinot Blanc in Alto Adige (meglio dire Weissburgunder) ci riferivamo al prodotto molto beverino che impersonificava  il “bianco” così come la Schiava per il rosso. Vino da tavola, semplice, allevato, così come la schiava, “a pergola” per averne “quantità”. Nei ristoranti era ed è tutt’ora il vino bianco servito “sfuso”.

Negli ultimi tempi è in atto da parte di alcune Aziende (un numero sempre più crescente) di vinificare l’uva di questo vitigno con nuove tecnologie e conoscenze per arrivare ad offrire un vino di qualità sfruttando le sue potenzialità. A cominciare dalla riconversione delle vigne (da pergola a guyot), alle macerazioni, alla permanenza sui lieviti, all’effettuazione della malolattica per quelle partite destinate alla conservazione nel tempo e all’uso più opportuno del legno (tonneaux e barriques).

Continuare a chiamarlo solo pinot blanc, weissburgunder, pinot bianco?

Personalmente, considerato che il territorio è conosciuto per altri bianchi (Muller-Thurgau, Gewurztraminer, Sauvignon Blanc, Chardonnay, Riesling tanto per citarne alcuni), indicherei il vino altoatesino come “Sud-Tirol Weissburgunder” lasciando Pinot Bianco al Veneto, Friuli e Lombardia e Pinot Blanc all’Alasazia. L’aggiunta Sud-Tirol è per la distinzione, necessaria per la diversità, dai Weissburgunder austriaci e tedeschi.  Inoltre sono d’accordo con quella che lo stesso relatore Andrea Fenoglio (lo chef stellato del Ristorante Sissi di Merano)  ha definito come “una provocazione”, cioè introdurre nel disciplinare la dicitura “superiore” e “riserva” ad indicare la datazione delle vendemmie, la potenzialità all’invecchiamento e a distinguerlo dal vino beverino fino ad oggi conosciuto. Ben vengano le diciture identificative adottate dalle Aziende per indicare i loro “cru”, ma essenziale è precisare il territorio  valorizzando la vendemmia.

E ad avvalorare questo pensiero e necessità è stata, nel pomeriggio, la Masterclass a chiusura dell’Evento. 12 Pinot Bianchi provenienti dai territori europei, di differenti vendemmie e vinificazioni, a porre il Pinot Bianco altoatesino di fronte a scelte importanti e non più procrastinabili per renderlo degno ambasciatore di questo territorio nel mondo.

Urano Cupisti