Una bella apertura per Vinitaly 2017

Opera Wine, alla sua sesta edizione, è diventato il principale evento di apertura di uno dei più importanti saloni del vino al mondo. Lo dice il nome stesso degli organizzatori: Vinitaly International, il ramo del Vinitaly che porta la cultura del vino italiano nel mondo con il contributo di Ian D’Agata e la prestigiosa rivista americana Wine Spectator, che è la sola responsabile per la selezione delle aziende che partecipano a Opera Wine.

Quest’anno saranno 104 in rappresentanza di tutte le zone vitivinicole italiane e più di 60 varietà di uve autoctone, a disposizione di un pubblico selezionato.

Proprio di una di queste uve, del cannonau, vi voglio parlare riferendomi all’incontro con Alessandro Dettori durante l’edizione dello scorso anno.

Assaggiando il Romangia Rosso 2011, Cannonau 100%, 18 gradi (!!), 5000 bottiglie prodotte e 88 punti da Wine Spectator, ebbi una folgorazione.

Uno di quei flash di memoria per i quali ti senti proiettato nel passato, rivivendo attimi e sensazioni con una precisione fotografica che ha quasi del sovrannaturale, un fenomeno che va al di là del naturale ordine del tempo.

Erano i mitici anni ’80. Un mio carissimo amico, impresario edile, appassionato di Sardegna, si era costruito tre “baracche” in legno, rigorosamente abusive, sulle dune della spiaggia di Badesi, sette chilometri di sabbia bianca incontaminata e allora completamente disabitata. Un paradiso terrestre di sole, mare e silenzio, profumato dagli aromi di mirto, ginepro e lentischio che accompagnavano pigre giornate animate solo dalle attività balneari. Sabbia, ma con qualche scoglio sommerso, dove andavamo regolarmente a rifornirci di ostriche selvagge.

Poi il cannonau. Dietro le dune dove sorgevano le nostre “baracche”, c’erano i vigneti di zio Baciccia. Viti piantate nella sabbia, ancora su piede franco, antiche, torte, rugose proprio come la fronte di Baciccia che le curava come le cose sante. Curava gli alberelli, controllava l’equilibrio delle dune di sabbia, ricorreva poco o niente alle modernità della tecnica.

Al mattino ci recavamo in paese per comprare il pane e le provviste per la giornata percorrendo la strada che passava in mezzo ai vigneti. Su una piccola altura si levava un contorto “nimbaro” una specie di ginepro gigante che forniva ombra a volontà ad un tavolo di legno grezzo, di lunghezza infinita,  affiancato da due lunghe panche. Al centro del tavolo un grande vassoio conteneva una piramide di bicchieri capovolti e appena lavati. Quando rientravamo dal paese diretti alle nostre “baracche” sulla spiaggia, inevitabile come il sorgere del sole, puntuale come un guardiano fedele, lo zio Baciccia si parava in mezzo alla strada e ci imponeva di arrestare la macchina. Ci sistemava sulle panche, all’ombra del nimbaro, e cominciava a versare nei bicchieri il suo Cannonau di 18,5 gradi.

Era estate, la calda estate sarda, era mattina, mezza mattina ed eravamo a stomaco vuoto. Eppure quel vino aveva dei poteri magici. Scorreva il sorso lungo la gola, agile e veloce, dolce e saporito, quasi nascondendo la potenza alcolica che non avvertivamo. Aveva un colore pallido e trasparente, profumi di ciliegie fresche e fragoline di bosco, fiori di rosa delicati e ricordo di mirto. Ma quello che sorprendeva era il palato. Un equilibrio inesplicabile, vista la potenza alcolica e la presumibile scarsezza della presenza acida. Sapidità e salinità succhiate da radici che probabilmente affondavano in vene marine potrebbero spiegare il fenomeno. Fatto sta che, dopo una mezz’ora con zio Baciccia, proseguivamo a stento verso la spiaggia e di fronte alle nostre mogli attonite ci gettavamo nudi in acqua, giusto per cercare refrigerio dopo tanta riserva alcolica.

Ripetevamo questo rito quasi tutte le mattine e con un piacere dionisiaco sfrenato, anche perché poi le conseguenze erano tutt’altro che sgradevoli.

Quelle sensazioni, quei profumi, quell’equilibrio, sono riemersi prorompenti nell’assaggio del cannonau di Dettori. Gli ho detto cosa provavo, gli ho raccontato di zio Baciccia e lui ha annuito convinto: quello era il vero sapore del territorio e della sua zona, quello era l’equilibrio che cercava a dispetto delle analisi da capogiro. Viti nella sabbia, quelle di Baciccia, viti su piede franco allevate ad alberello come nella notte dei tempi. Dettori è riuscito a ripetere il miracolo in situazioni molto vicine a quelle ancestrali, dimostrando che la biodinamica, alla fine, non è stregoneria, ma religione.

Paolo Valdastri

 

Opera Wine

Finest Italian Wines

Verona, 8 aprile 2017

 

Tenute Dettori

Sennori (SS)

www.tenutedettori.it