Si dice, ed a ragione, sia la capitale più cara del continente europeo.  Appartamenti del centro, a Belgravia come a Mayfair, oggi oltre i 10mila Pounds al mq, biglietto singolo del metrò che sfiora i 5 Euro, l’ingresso ai monumenti più famosi, prendi la chiesa di Saint Paul, avidi di bigliettoni da 20 sterline (col resto di due). Se tali son le premesse si potrebbe pensare che per mangiare a Londra ci voglia un leasing a lungo termine. Invece, ecco la sorpresa che non ti spetti. I numerosi stellati Michelin, forse coscienti che anche i banchieri della City di questi tempi adocchiano il portafoglio, propongono una serie di menù a prezzi concorrenziali, tanto che talvolta pranzare in uno di loro equivale ad un fish and chips “scongelato” consumato in qualche pub trendy del centro. Tre mega-locali vissuti per voi nel cuore della Great London, ognuno a suo modo a  rappresenta i vertici di categoria: il lusso, la celebrità, il trendy. Ecco com’è andata, a tavola e col conto finale.

Il lusso : VIVO DA RE: ALAIN DUCASSE AL DORCHESTER

L’ingresso al Dorchester, cinque stelle lusso davanti a Hyde Park, piega le gambe (e fa tremare il portafoglio); basta dare un’occhiata fugace all’interminabile carosello di Rolls e Bentlley parcheggiate nei pressi. Oltrepassata la porta girevole si è accolti a “Palazzo” da un nugolo di Stewart  con almeno otto di loro che ti pilotano al tavolo, tra cappotti prontamente ritirati, porte che si aprono al tuo passaggio e sedie accompagnate per ogni commensale di sesso femminile. Il lunch a 55 pounds per persona, a cui aggiungere (è regola fissa non emendabile) il 12,5% di servizio (e, se volete, una più o meno ricca mancia) comprende tre portate e due bicchieri di vino in abbinamento, oltre ad un doppio stuzzichino iniziale, piccola pasticceria, acqua, caffè (o infuso) e cioccolatini. Un vero affare, visto che sedete in tri-stellato! Piatti veri quelli che escono dalla cucina di Ducasse; geometrici, perfetti per stile, cottura e scelta di ingredienti.  A corredo una mise en place lussuosa, una scelta di pani di grande piacevolezza (olive nere e bacon su tutti) ed un doppio servizio di burro (salato e in crema). Per chi non è a proprio agio con l’inglese anche un cameriere italiano pronto a darvi un aiuto. Carta dei vini cara (si parte da 10 sterline il bicchiere fino all’infinito) ma quelli inclusi nel menù, ovviamente francesi (Sancerre, Chablis, Bordeaux o Cotes du Rhone), permettono di bere ben ed in giusta dose (due “drink” da circa 100 ml. cadauno). Sala piena e nonostante ciò un servizio eccellente; da tre stelle, quali giustamente tributate ad un maestro, qual è Alain Ducasse, capace di saper scegliere alla grande ogni meccanismo delle numerose “macchine” (leggi ristoranti) che ha messo in moto nel mondo. Il conto finale (247,50 sterline in quattro a cui aggiungerne 20,00 di mancia) non  lascia rimpianti mentre a testa alta (uscite da Ducasse..) si percorre l’adiacente tea-room dell’hotel, tra adorabili signore “british”, con tanto di coloratissimo cappellino, principi arabi e industriali indiani  intenti a scegliere dolcetti da mirabili alzate in argento.

IL PLUS: Ingredienti di prima scelta ed un servizio che ti coccola, di grande classe ma senza soffocare  o mettere soggezione.  Gli infusi di fine pranzo, preparati al tavolo direttamente col taglio delle essenze da piante fresche in vaso. La piccola pasticceria, proposta anche in asporto per ciò che non si consuma al tavolo (senza la scusa del cagnolino a casa goloso di dolci….).

IL MINUS: Poche emozioni nei piatti, perfetti ma, se si vuole, un po’ scolastici. Del resto non si viene da Ducasse per l’innovazione più spinta, quanto per l’assoluta precisione di una cucina francese classica che non disdegna comunque le novità meno “ardite”.

 

La celebrità: CIACK SI GIRA!: MARCUS WAREING AT THE BARKELEY

Il nome, Marcus Wareing, a molti di voi dirà poco; ma se citiamo Gordon Ramsay e Master Chef allora magari riusciamo a farci capire. Val la pena riassumerla, in breve,  la carriera di questo chef, oggi diventato una vera e propria celebrità (il Cracco “inglese” tanto per capirci). Marcus Wareing, classe 1970, per anni vive in simbiosi con Gordon Ramsay col quale apre ristoranti e ottiene stelle a profusione. Qualche annetto fa i due però rompono, anche malamente, il sodalizio. Parte così, siamo nel 2008, l’esperienza solista di Wareing che subito prende possesso delle pentole al Barkeley, hotel a cinque stelle non lontano dai magazzini Harrods, la mecca degli acquisti londinesi. Nel giro di poche stagioni arrivano due stelle Michelin e la fama nazionale (con tanto di pagina dedicata su Wikipedia), quasi in contrapposizione a quella dell’ex collega/amico Gordon Ramsey. Oggi, conquistata una  presenza tutt’altro che saltuaria in TV (ad iniziare da Master Chef edizione inglese), Marcus Wareing viaggia a gonfie vele tra aperture di nuovi locali, catering di alto bordo e consulenze “patinate”, tirato per la giacca in mille situazioni disparate. Ciò nonostante, e questo il suo gran merito,  lo troverete spesso dietro ai fornelli del Berkeley  a dirigere la sua brigata in cucina, fatta oggetto, al termine di ogni pranzo/cena, del pellegrinaggio degli avventori di turno (è toccata pure a noi, con tanto di stretta di mano al “celebrity chef”). Lunch menù a 38 pounds, tre piatti con acqua, caffè e piccola pasticceria, ma senza vino, oppure a 56,00 con due bicchieri di vino scelti dal sommelier (ed ancora una volta la Francia a farla da padrone). Conto finale a 238,50 sterline, con quattro menù senza vino ed una onesta bottiglia di Riesling di Egon Muller, perfetta su un paio di piatti (tipo il salmone di cui sotto)

I PLUS: una cucina di ispirazione britannica, pensata e con piatti creativi ma “comprensibili”. Un ottimo artigiano che non vende fumo ma arrosto! Ottimo, per parlare di arrosto quello, di carne di manzo, servito come main corse: succulento, saporito e millimetrico nella cottura. Un piatto “banale” reso geniale nella sua esecuzione e composizione.

I MINUS: l’ambiente un po’ smorto nei colori (dominano il marrone ed il viola) ed una sala “mediamente” elegante non trasmettono al primo impatto la sensazione della “grande occasione”. Servizio gentile, ma un po’ complicato nel capire “chi faceva cosa”.

I PLUS NUMERO DUE:  Una lisca dimenticata dalla cucina nel salmone servito come entrata e messa “bastardamente” in bella evidenza sul piatto vuoto da sparecchiare, ci è valsa (bravi! bel gesto) l’aggiunta di una portata “fuoriprogramma” pescata dal menù degustazione della sera.

 

Il Trendy:  UN BOCCONE DOPO GLI ACQUISTI (MILIONARI!) – HIBISCUS DI CLAUDE BOSI

Siamo nel cuore dello shopping sfrenato, a due bassi da Bond Street e le sue boutique più lussuose: Tiffany, Gucci, Versace, Cartier e chi più ne ha ne metta. Se tra una vetrina e l’altra, basiti dai prezzi “a 4 zeri”, vi vien fame fate rotta sull’Hibiscus, ma non senza aver prenotato e con largo anticipo. Claude Bosi, chef “francese” (ancora loro!), da poco entrato nell’elite dei Relais & Château, punta diritto alle tre stelle Michelin dopo averne messe in cassaforte due, ampiamente meritate. L’entrata è un po’ “front street”, non particolarmente allietata dai lavori che occupano in adiacenza la via. Anche la sala, pur elegante e distinta, non colpisce per suntuosità. Poco importa. Pani (fette king size home made di ottimo sapore “rustico”), burro (delicatamente salato) ed un “estroverso” appetizer (uno pseudo cocktail di spuma d’ananas e gel al Campari) ci riportano alla tavola. Menù a 49,50 pound (servizio del 12,50% escluso, mancia a parte) che comprende tre piatti, acqua, vino, caffè e piccola pasticceria. Un bel po’ di Francia negli ingredienti, con alcuni classici tipo il rognone o il trancio di merluzzo, ma anche tocchi di inventiva che giustificano la sala piena di gente “locale”, alle prese con una delle tavole londinesi più trendy del momento. Grandiosi i dessert, in particolare una sorprendente combinazione di spume dolci/salate agli asparagi bianchi ed olive. Per gli immancabili “disadattati”, una giovane, gentile e graziosa cameriera pronta ad aiutare chi va facilmente in difficoltà con la lingua inglese. Conto finale di 234,50 pounds per i soliti quattro menù vino incluso; ben spesi per due ore di divertimento e goduria gastronomica. Un ristorante da seguire con molta attenzione, vista anche l’età dello chef.

I PLUS: Una cucina quasi provenzale ma alleggerita e condita da geniali “trovate” che sorprendono, in positivo, il palato. Il locale giusto per una full immersion nei ritmi di vita londinese come vissuti dai londinesi al passo con le mode del momento. Bello l’underground, con una scuola di cucina ed una cantina a vista, ricca di tante etichette “bio”.

I MINUS: Il vino in abbinamento; un bianco della Provenza servito in caraffa (!?), privo di bottiglia ed etichetta, non rende merito alla cucina. Possibile non ci sia modo di servire due bicchieri “meno anonimi” e di miglior qualità!? Tavoli un po’ ravvicinati nell’unica grande (ma non smisurata) sala di servizio.