La giornata è torrida, una di quelle mattine in cui sembra di intravedere l’effetto Morgana, quell’effetto strano che ti fa ammirare all’orizzonte delle forme fantastiche dai contorni sfuocati, il sensore dell’auto, segnala inesorabile una temperatura esterna di 34 gradi. Attraversiamo le Crete senesi. Siamo al centro di uno scenario incredibile, quasi lunare, movimentato da dolci colline dai differenti colori. Arriviamo a San Giovanni d’Asso, provincia di Siena.

In lontananza, percorrendo una strada sterrata, si staglia l’azienda “Il Moro di San Giovanni”, su questo sfondo ocra abbagliante è una specie di oasi, circondata dal verde delle vigne, che formano dei disegni geometrici, un improvviso sollievo per lo sguardo, quasi accecato, un attimo prima dalle crete senesi.

La casa padronale è una dimora, rustica con una piscina a sfioro, con un particolare fondo scuro, simile al greto di un torrente di montagna, che fa sembrare l’acqua, così fresca e rigenerante, che a stento, mi trattengo da far finta di scivolarci dentro.

La casa è immersa in un giardino fiorito, con una vista mozzafiato, isolata, tanto da goderne la pace ed il silenzio.

Ci accoglie Jolanda Tinarelli, consulente strategico, già imprenditrice e produttrice di vino, adesso l’anima del Moro.

Il Moro di San Giovanni è una graziosa piccola azienda, fortemente desiderata dalla proprietaria, la signora Cameli ed il marito Sebastiano, (scomparso nel 2011) armatori genovesi da generazioni.

Dopo una vita di intensa attività imprenditoriale, che li ha portati a girare il mondo, si sono avvicinati alla campagna.

L’azienda nasce nel 2002 e prende il nome da un bellissimo albero di gelso (che in Toscana viene chiamato moro), che cresceva proprio di fronte alla casa.

I vitigni impiantati, nei 5 ettari vitati, sono: Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon e Petit Verdot, coltivato in un’altra proprietà di famiglia situata a Monticchiello, zona particolarmente vocata per questo vitigno. Sorge spontanea la curiosità circa l’esclusione del Merlot, che ci viene detto non essere il preferito della Signora Cameli.

Jolanda ci spiega che il progetto nasce dal desiderio di creare, in questo angolo di paradiso, (provincia di Siena) un pezzetto dell’eleganza della Francia enologica in stile bordolese, producendo vini molto equilibrati, aggraziati, che non si impongono con prepotenza, ma per il loro carattere e la loro bevibilità.

Insieme all’amico Andrea Franchetti, già noto per la tenuta Trinoro, si  misero all’opera, effettuando le analisi di tutto il terreno e di tutte le esposizioni, scegliendo anche portainnesti e cloni differenti, tutti provenienti dalla Francia.

In cantina i chicchi d’uva, vengono separati meticolosamente in piccole vasche di acciaio, non solo in base al vitigno, ma anche in considerazione del tipo di terroir su cui si trova, al tipo di portainnesto ed al tipo di clone da cui proviene”, ci spiega Jolanda.

Continua: “La cantina è costruita in maniera funzionale e moderna. Il vino arriva per caduta al piano inferiore, sfruttando la gravità, limitando così l’uso di pompe ed altri agenti stressanti”.

Abbiamo degustato le annate dal 2006 al 2010, annate diverse, che rispecchiano un andamento mutevole. La mia preferenza si rivolge verso due vini in particolare.

Il primo è il “Fiore del Moro” 2006, in prevalenza Cabernet Franc, 2 anni di barrique e 2 mesi di vasca di cemento.

Un vino che si presenta sobrio elegante, di grande equilibrio, mai eccessivamente austero, un sapiente uso della barrique, che non altera le caratteristiche organolettiche del vino. Ha una buona spalla acida, che conferisce freschezza. Nel complesso ha caratteristiche di grande piacevolezza e armonia.

L’altro che ho preferito è stato il “Moro di San Giovanni” 2010, che ricorda molto un “Saint Emilion”A.O.C. Dotato di una trama tannica molto elegante,  ricco di materia e frutto, polposo, sempre con grande equilibrio ed  un finale che ti accompagna piacevolmente e a lungo.

Ogni annata riflette una sua personalità ed una sua storia, sono vini accattivanti, che non fanno rimpiangere i grandi francesi.

Alessandra Rachini