Fenomeno in espansione in Italia fotografato da un Report Altis commissionato da Unionbirrai. Tutti i dati della ricerca oggi al Festival Fermentazioni

Singoli individui o gruppi di amici con un unico comune denominatore: la passione per la birra artigianale. Ecco chi sono i Beerfirm, fenomeno in rapida espansione sul territorio nazionale che ne contava 56 nel 2013 e a distanza di un anno li trova quasi triplicati con 160 presenze. Destinati a crescere esponenzialmente, a fare di un hobby un vero e proprio business (sono l’86%) con un fatturato medio inferiore ai 100 mila Euro annui – valore considerato lo spartiacque nel giro di affari della categoria –, il beerfirming nasce come scappatoia dalla disoccupazione o per semplice tributo a Cerere, quindi come reddito complementare rispetto ad un lavoro principale. Qualunque sia il motivo che li spinge a moltiplicarsi, l’importante è arrivare a capire in un prossimo futuro se questi birrai senza impianto, che si appoggiano cioè su altre aziende per produrre birra con proprio marchio e ricetta, rappresentino più un opportunità o una minaccia per i produttori artigianali.

 

Questa, in summa, la questione affrontata nel pomeriggio da UNIONBIRRAI con Luigi Mancini, Senior Technical Associate di FARE (Food and Agriculture Requirements) e Gabriele Rotini, Resp. nazionale CNA Alimentare, invitati dal Festival Fermentazioni (fino a domani alle Officine Farneto, Via dei Monti della Farnesina 77) a creare una tavola rotonda dal titolo Chi produce la mia birra? sulla realtà beerfirm e sul Regolamento Comunitario n°1169 del 25 Ottobre 2011 cui dipenderà la chiarezza delle informazioni delle etichette e la responsabilità finale di produttori o distributori.

 

I dati parlano chiaro e provengono da una ricerca promossa da UB nel 2013 e condotta dai Professori Matteo Pedrini e Alessandro Poloni della ALTIS (Alta Scuola Impresa e Società) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano su un campione rappresentativo di beerfirm (l’11,1%) comparato ad altri due attori del comparto birra artigianale: i microbirrifici (sono il 77%, producono autonomamente ed in conto terzi) e i brewpub (sono l’11,9% e producono direttamente nel locale di vendita al pubblico o sue adiacenze).

 

I beerfirm sono, nel 57% dei casi, imprese individuali o società semplici (solo il 20% è in grado di sostenere da 1 a 3 dipendenti) con manodopera limitata alla sola funzione amministrativa, di commerciale o marketing, essendo il resto dei processi esternalizzato. Il loro fatturato proviene, nel 62% dei casi, dalla mescita o distribuzione diretta e dalla vendita online, mentre il 38% si deve alla distribuzione indiretta tramite distributori di bevande. L’85% di tali realtà non supera una produzione di 250 Ettolitri e la gamma prevede un numero massimo di 5 birre prodotte; eccezion fatta per un buon 7% che supera i 700 Ettolitri annui (pari a 100.000 bottiglie). “Dietro questi numeri – spiega Claudio Cerullo di UBsi celano aziende vitivinicole o agricole o gruppi distributivi che cercano in modo opportunistico di investire anch’essi su un proprio marchio per allargare il giro di affari o supplire ai segni negativi della crisi con prodotti che invece nel mercato nazionale rappresentano sì una nicchia non superiore al 2%, ma con un segno di crescita positivo”.

 

I motivi di tale fenomeno – prosegue Simone Monetti, Direttore Generale di UBsi radicano sul trend positivo della birra artigianale in Italia, su una maggiore cautela nel fare impresa, cercando di procrastinare l’investimento sull’impianto produttivo a quando ci sarà un volume di vendite tale da consentirne l’ammortamento; ma anche su un più difficile accesso al credito, che ha impedito a chi volesse acquistare il proprio impianto, di farlo”.

 

La ricerca ALTIS mette inoltre l’accento sulla eterogeneità imprenditoriale nel panorama della birra artigianale, facendo emergere i numerosi casi di start up – pari solo a quelli in fase di sviluppo – e di una fetta residua (il 7% del totale) con un giro d’affari consistente che gravita attorno al milione di Euro. In particolare rileva come i brewpub, superata una certa soglia dimensionale, siano più propensi a generare introiti rispetto al modello del micro birrificio grazie al servizio di ristorazione annesso e al collocamento diretto del proprio prodotto sul mercato, oltre che a prezzi al litro sensibilmente superiori, legato alla possibilità di offrire il proprio prodotto mediante mescita diretta.

 

I dati del report saranno completati da un’ulteriore indagine ALTIS che mira ad approfondire anche i rapporti tra birrifici e beerfirm dal punto di vista commerciale e finanziario, e i cui risultati saranno resi noti verso la metà del mese di ottobre. L’obiettivo è garantire il consumatore finale, oggi in grado di risalire, dalla sede dello stabilimento, a chi produce in conto terzi per i beerfirm. Tuttavia, un Regolamento Comunitario, il 1169/2011 di prossima e definitiva applicazione (entro la fine dell’anno) potrebbe limitare questa chiarezza di informazioni trasferendo maggiori responsabilità su chi commercializza o distribuisce i prodotti.